sabato 3 aprile 2010

Le nuove tecnologie: mente, società, didattica (a cura di Bijoy M. Trentin)

 

Derrick De Kerckhove


Per migliaia di anni, fin da quando il faraone rimproverò Toth per aver inventato la scrittura, perché, sosteneva, minacciava di distruggere la memoria, ogni nuova tecnologia basata sul linguaggio ha sempre suscitato ingiustificate reazioni ostili. Qualunque spostamento della sede della memoria sembra turbare profondamente l'uomo e ovviamente ogni tecnologia comporta una dislocazione di questo tipo: l'invenzione della scrittura ha trasferito la memoria dal corpo al testo, la televisione ne ha sancito il passaggio dalla mente allo schermo, e oggi Internet va trasformando la memoria in un ambiente virtuale al di fuori del corpo e degli schermi, negli inferi del non-spazio digitale. Non sorprende dunque che questi sviluppi creino un certo sconcerto. Tuttavia, quando la memoria e l'elaborazione dell'informazione (ossia il pensiero) mutano sede, di solito è per fare qualcosa di nuovo, qualcosa che non era mai stato fatto prima nelle società umane: così l'invenzione dell'alfabeto ha reso possibile il pensiero individuale; la televisione ha creato una mente collettiva, e ora Internet offre la possibilità di connettere le menti dei singoli individui. I contenuti della memoria universale vengono riversati in Internet, così come molte facoltà mentali vengono delegate ai computer. Pensare e ricordare diventano processi collettivi che possono essere condivisi in tempo reale.

Osservo, in primo luogo, che nessuno ha mai sostenuto la necessità di sostituire interamente i vecchi media con quelli nuovi. In secondo luogo, quali prove abbiamo che gli strumenti multimediali rendano pigri gli studenti? Forse il fatto che, abituati a usare i calcolatori tascabili, gli scolari dimenticano oppure non imparano le tabelline? Infine, si può davvero affermare che i nuovi strumenti multimediali ostacolino lo sviluppo della fantasia? Ovviamente non parliamo qui dei videogiochi, ma di materiale didattico. Sotto il profilo pedagogico, le nuove tecnologie offrono possibilità spettacolari: tantissimi miei studenti hanno ottenuto le informazioni più interessanti attraverso il web; molti mettono in rete i risultati delle loro ricerche e li discutono con persone accomunate dagli stessi interessi con le quali, probabilmente, non sarebbero mai potuti entrare in contatto in altro modo. In Canada, gli strumenti didattici multimediali sono usati anche nelle scuole elementari, dove i bambini imparano a sviluppare le loro facoltà cognitive e immaginative attraverso la creazione di siti web. Le nuove tecnologie non rendono affatto pigri gli scolari, al contrario, li impegnano in un processo di apprendimento di tipo situazionale. La fantasia non viene sostituita, bensì integrata da quella virtuale, che è una estensione tecnologica delle nostre facoltà immaginative. Quanto alla memoria, forse la dobbiamo considerare perduta se fluttua tutto intorno a noi, anziché deteriorarsi nel nostro cervello?

Questa espansione [della mente e della memoria al di fuori del corpo] comporta una radicale trasformazione nelle condizioni dell'apprendimento. L'importante non è più sapere qualcosa, ma sapere in che modo accedere alle conoscenze ed elaborarle. L'importante è rendersi conto che oggi non pensiamo più da soli, isolati, ma assieme a tutte le persone che sono impegnate, nel breve o nel lungo periodo, nelle attività di problem solving, di scoperta e di fissazione dei risultati per renderli accessibili a tutti. L'ignoranza non è solo uno "stato beato": è la forma in cui si presentano i bisogni percepiti in questo stesso momento, in tempo reale, da tutti coloro che partecipano a un processo di pensiero collettivo. Possiamo affermare che nessun insegnante o pedagogo sensato pretenderebbe di sostituire completamente i vecchi media con i nuovi. A fondamento dell'identità personale vi è ancora, e vi sarà sempre, l'acquisizione della capacità di leggere e scrivere, che il bambino ha bisogno di apprendere per diventare un buon processore nella memoria connettiva dei media in reteMa egli non ha bisogno di imparare contenuti, bensì solo processi. Si ripresenta qui la vecchia e tediosa controversia che vide contrapposti Rabelais e Montaigne. Io mi schiero, ancora una volta, con Montaigne, che alle argomentazioni di Rabelais ribatteva: «Une tête bien faite vaut mieux qu'une tête bien pleine» (una testa ben fatta vale più di una testa piena).

I presunti effetti di isolamento e di frammentazione sociale sono quelli che più sembrano preoccupare i critici dei nuovi media. Martin Pawley, ad esempio, sostiene che la televisione crea un "futuro privato" per disadattati che vivono rintanati nei loro appartamenti al decimo piano, con gli occhi inchiodati allo schermo. Pawley, ovviamente, non fa il minimo cenno al fatto che guardare la televisione può diventare (è anzi diventato ormai da tempo) anche un rituale collettivo, un momento di socializzazione. E' lo stesso tipo di obiezioni che vengono mosse invariabilmente a Internet. Ma è possibile che queste persone non si rendano conto che ogni momento di coinvolgimento nella Rete è una forma di comunicazione, e non semplicemente una ricezione passiva di informazioni? Anche nel caso del più passivo dei media in rete, ossia il web che viene usato soltanto come strumento di macro consultazione manuale, non si può non riconoscere che la ricerca è caratterizzata da un tipo di personalizzazione dell'elaborazione dati che manca, e non si potrà mai avere, in molti altri media.

La comunità del web è il web stesso, per non parlare delle miriadi di comunità che esso ha consentito di creare. Condivido appieno a questo riguardo la posizione di Lanier, il quale sostiene che la grande, e misconosciuta, tecnologia del nostro tempo è il telefono (che connette tutto con tutto), e che la Realtà Virtuale stessa non è un semplice strumento di produzione, ma essenzialmente un mezzo di comunicazione. Precisato questo, non ritengo, però, che una classe virtuale possa sostituire una classe reale. Se così fosse, le schiere di imbecilli laureati che continuano a uscire dalle aule e dai laboratori universitari lascerebbero il posto ad automi socialmente handicappati che escono dai loro seminterrati o dalle loro camere da letto con un titolo di studio virtuale rilasciato da una università virtuale. Il destino e il messaggio della Realtà Virtuale non è quello di sostituire la realtà, bensì di potenziarla. Come regola di buon senso, possiamo dire che per ogni forma di virtualità deve esserci almeno un grado minimale di realtà fattuale.

I multimedia in rete de-specializzano sia i contenuti didattici sia le loro modalità di trasmissione. Si pensi solo al fatto che il web sta per trasformarsi in una mente connettiva completa che contiene ogni cosa. Il web è accessibile ovunque, in qualunque ordine, casuale o lineare, in qualunque formato, testo, suono, immagine: funziona esattamente nello stesso modo in cui opera l'immaginazione.L'ipertestualità non è altro che questo: la condizione di funzionamento di ogni mente.L'accesso ai nostri pensieri è esso stesso ipertestuale. L'unica differenza tra il web e le nostre menti è che, almeno per ora, l'accesso a queste ultime è più rapido e che abbiamo un maggiore potere morfico nei confronti dei nostri contenuti mentali, ma è un vantaggio che forse durerà poco.

I vantaggi [dell’insegnamento on line] sono piuttosto evidenti. In primo luogo, la teledidattica consente l'accesso all'istruzione a tutti coloro che, per una ragione o per l'altra, non possono frequentare le scuole. In secondo luogo, i nuovi, efficienti software di ricerca che si stanno mettendo a punto consentiranno un accesso facile e pressoché illimitato a informazioni altamente specializzate quasi in tempo reale. Soltanto l'insegnamento on line, infine, offre a ogni studente, insegnante o ricercatore, la possibilità di creare istantaneamente una comunità virtuale di persone che condividono gli stessi interessi, senza vincoli spaziali e temporali. E' questo, a mio avviso, l'aspetto più interessante dell'insegnamento on line. Una comunità di ricercatori di norma è limitata a un luogo fisico condiviso, e deve fare i conti con lunghi ritardi nella pubblicazione e/o nella distribuzione delle informazioni. Ciò può consentire di riflettere meglio sulla verità e sulla validità dei contenuti dell'informazione, ma in definitiva si traduce in uno svantaggio in quanto i vincoli spaziali limitano l'accesso ad altri illustri ricercatori di tutto il mondo, e i ritardi temporali riducono inevitabilmente le opportunità di pensiero connettivo. L'interazione on line consente un processo di pensiero collettivo, cui partecipano quasi in tempo reale tutte le persone interessate, che ha caratteristiche assai simili ai processi mentali individuali. Il grande vantaggio in questo caso consiste nel fatto che al processo può partecipare un numero pressoché illimitato di esperti.

Se l'accelerazione nella distribuzione e nell'elaborazione delle informazioni scientifiche e sociali è un fatto positivo, in quanto comporta tempi più rapidi di reazione e di risposta creativa da parte delle persone coinvolte, c'è anche il rischio che risultati e informazioni vengano messi on line senza le necessarie verifiche, e che ciò si traduca in una perdita di credibilità del processo scientifico. Ma il problema può essere superato, almeno in parte, comunicando rapidamente con altre persone per verificare fatti e soluzioni. Le nuove tecnologie multimediali eliminano progressivamente le barriere politiche e fisiche allo scambio e alla distribuzione del sapere, e ciò significa una crescita esponenziale sia della quantità di informazioni scambiate sia della portata della loro diffusione. Al di sopra e al di là del mutamento strettamente quantitativo, si sta verificando anche un mutamento di tipo qualitativo, dovuto al moltiplicarsi delle interconnessioni e alla loro crescente precisione. Assistiamo così alla nascita di gruppi "just-in-time" di studio, di problem solving o di ricerca, che possono assumere le configurazioni più varie. E' assai probabile che da tali interconnessioni sorgano nuove forme di coscienza istantanea.

[La comunicazione on line ha lacapacità di sollecitare riflessioni e progetti. Anche se non si utilizzano, i servizi on line possono essere una fonte di ispirazione per un ripensamento dell'istruzione che assegni la priorità ai bisogni degli studenti anziché a quelli degli insegnanti o delle amministrazioni. Paul Sanger, dalla Newberry library di Chicago, ha osservato come alla fine del Medioevo la prassi della lettura silenziosa in fondo all'aula universitaria consentisse agli studenti di sviluppare un atteggiamento critico nei confronti degli insegnanti e di elaborare teorie autonome. Essi avevano modo di sottoporre a una verifica costante quanto diceva il professore. La stessa cosa è possibile oggi. Tutti gli studenti hanno eguale accesso all'informazione on line. L'avvento della teledidattica potrebbe dare un nuovo impulso democratico all'intero sistema educativo. Purtroppo, ci si scontra qui con le lentezze e le difficoltà create, in particolare, da amministrazioni refrattarie all'innovazione e dal prevalere di politiche conservatrici in materia di telecomunicazioni. La tendenza dominante nella maggioranza dei paesi è quella di assicurare il collegamento in rete innanzitutto alle università, mentre sarebbe molto più importante dotare di servizi multimediali anche la scuola primaria e quella secondaria. Tuttavia, quando si supereranno queste difficoltà e il sistema di istruzione on line giungerà alla sua piena maturità, esso sarà in grado di offrire agli scolari molto più di quanto abbia mai potuto offrire, ad esempio, la tv educativa, che in molti paesi, tra cui il Canada, è un servizio pubblico gratuito. E' questo un fatto senz'altro positivo, ma si tratta sempre di un medium che trasmette programmi poco diversificati, commisurati esclusivamente ai bisogni dello studente medio.Grazie alla teledidattica, invece, gli studenti potranno collaborare tra di loro e nello stesso tempo progredire secondo i propri ritmi: "idioti" e "sapienti", d'ora in avanti, potranno seguire percorsi separati.



Howard Gardner
da Intelligenze multiple e nuove tecnologie, “MediaMente. Biblioteca digitale” 10-04-1997

La gran parte della gente, quando usa la parola intelligenza pensa che ci sia una singola intelligenza con la quale si nasce e che non si può cambiare molto. Si attribuisce un gran valore a quello che si chiama un IQ test, una serie di domande alle quali si risponde bene o meno bene. Io penso che il test del quoziente intellettivo sia una misura ragionevole del rendimento delle persone a scuola, ma esso offre una visione molto ristretta di come sia l'intelletto umano una volta usciti dalla scuola. Nel mio lavoro ho gettato via i test perché penso che essi non possano esaminare l'intero spettro delle capacità umane. Viceversa, ho studiato il cervello e come si è evoluto nel corso di molti, molti anni. Ho anche studiato il tipo di abilità cui si attribuisce valore nelle diverse culture, non solo nella nostra cultura oggi, ma nella nostra cultura storicamente, e nelle culture di tutto il mondo. Come risultato di questo studio di molti anni ho definito almeno otto intelligenze diverse. La definizione standard diintelligenza ed il test standard guardano a due intelligenze: quella linguistica e quella logica, che sono molto importanti a scuola. Ma io sostengo che ci sono almeno altre sei intelligenze, incluse quella musicale, quella spaziale - che consiste nell'abilità di valutare gli ampi spazi allo stesso modo del pilota o di un navigatore, o gli spazi locali, come farebbero uno scultore, un architetto o un giocatore di scacchi -; l'intelligenza cinestetica corporea, che è l'intelligenza del ballerino, dell'atleta, dell'artigiano, dell'attore; l’intelligenza personale, che consiste nella comprensione delle altre persone, come esse lavorano, come motivarle, come andare d'accordo con loro; l'intelligenza interpersonale, che consiste nella comprensione di se stessi, di chi si è, di cosa si cerca di raggiungere, di quello che si può fare per avere maggiore successo nella propria vita. Recentemente ho aggiunto una nuova intelligenza chiamata "intelligenza naturalistica", che consiste nella capacità di riconoscere diversi oggetti nella natura: esseri viventi, piante, animali, e anche altre cose in natura come le rocce, o nuvole o tipi diversi di tempo. Ora, tutti noi siamo dotati di queste diverse intelligenze. Infatti, qualcuno potrebbe dire che sto definendo gli esseri umani non nel modo in cui fece Socrate, come animali razionali, ma come animali dotati di linguaggio, di logica e così via. In ogni caso, mentre tutti noi possediamo queste intelligenze, non esistono due persone che abbiano esattamente la stessa combinazione di intelligenze. Qualcuno è più forte nell'intelligenza linguistica, qualcuno in quella spaziale. Anche il modo in cui combiniamo le intelligenze o non le combiniamo è differente fra le persone, e qui entrano in gioco le implicazioni educazionali. Perché o noi possiamo trattare tutti come se fossero uguali, il che semplicemente indirizza un tipo di intelligenza, o possiamo cercare di capire le intelligenze dei bambini e personalizzare, individualizzare l'educazione il più possibile. Il mio pensiero è che anche se si vuole che ognuno impari lo stesso materiale, si può insegnarlo in molti modi, e si può anche stimare o valutare in molti modi ciò che lo studente sta imparando. E' qui che viene fuori il ruolo della tecnologia, nell'individuazione del curriculum, dei materiali, degli argomenti per gli studenti, e nel dare loro molti modi di studiare e molti modi di padroneggiare il materiale.

Ogni intelligenza tradizionalmente è utilizzata da diverse tecnologie. Un'intelligenza linguistica dalla semplice tecnica della penna, del libro, del microfono; l'intelligenza logica e matematica dalla tecnologia del pallottoliere, della calcolatrice oppure dal computer; l'intelligenza musicale con gli strumenti, i sintetizzatori e così via. Avendo degli esseri umani ed una intelligenza, si sviluppa una tecnologia da dirigere con quella intelligenza. Ma penso che ciò che la gente vuole sapere è la relazione fra l'intelligenza e le nuove tecnologie. E' molto importante capire che la tecnologia è solo uno strumento, niente di meno e niente di più. Ho una penna qui. Essa è uno strumento. Posso usare la penna per scrivere un sonetto, come Shakespare o Dante. Posso anche usare la penna per cavare un occhio a qualcuno. E' solo uno strumento. E i computer possono essere usati per manipolare le persone o per liberarle, i computer possono essere usati per insegnare alla gente nello stesso noioso modo rigoroso in cui si è insegnato per moltissimi anni, o possono essere usati per insegnare in modi molto nuovi. Ovviamente, mi piacerebbe che le tecnologie venissero usate nei modi che liberano gli individui, che consentissero loro un maggiore accesso alle cose rispetto al passato. Ad esempio, io possiedo una intelligenza musicale piuttosto forte, ma non una particolare intelligenza spaziale. Quando ero a scuola mi venne chiesto di cercare di immaginare una figura in tre dimensioni e come essa veniva trasformata. Era un'operazione molto difficile da fare nella mia testa. Ora io posso creare una immagine sullo schermo del computer e girarla tutto intorno, realizzando, in questo modo, davanti a me, quello che dovevo fare nella mia testa. Poiché sono migliore nella intelligenza musicale, se ascolto una fuga, per esempio, con un tema, posso sentire nel modo in cui il tema viene trasformato o preso da un'altra voce. Posso farlo con le mie orecchie. Ma se non fossi stato in grado di farlo con le mie orecchie, avrei potuto prendere un registratore, registrare la fuga, separare le voci, seguirne una da una parte all'altra del pezzo; e di nuovo la tecnologia mi avrebbe aiutato a fare quello che non sono in grado di fare nella mia testa. Dalla mia prospettiva, la più grande promessa della tecnologia è quella di individualizzare l'educazione. Se un insegnante ha 30 o 40 studenti e non ha a disposizione alcuna tecnologia, non ha molta scelta: lui o lei deve leggere o dare a tutti lo stesso compito. Ma se, per esempio, un insegnante ha 30 o 40 studenti, ma ciascuno studente possiede il proprio computer con il CD ROM o il video disk player, allora, l'insegnante può insegnare le frazioni in un modo ad uno studente e in un altro modo ad un altro studente, e può altresì offrire allo studente vari modi di mostrare ciò che capisce. Così la tecnologia mantiene la promessa di personalizzare ed individualizzare l'educazione molto più che nel passato. Perché questo è importante? Tradizionalmente, l'educazione è stata un segno di selezione. A chi pensa in un certo modo, a chi può passare per la cruna di un ago, per usare una metafora, noi daremo un riconoscimento, e tutti gli altri saranno messi da parte perché non sono in grado di fare le cose in quel modo. Se noi individualizziamo o personalizziamo l'educazione, invece di avere un test che ciascuno deve superare, possiamo avere dei test appropriati per ciascuno in considerazione della sua intelligenza. Questo significa che ognuno può essere avvantaggiato in base alle proprie potenzialità, e non si forzeranno tutti ad essere come un certo prototipo, e se non si può essere come quel prototipo allora non si ha alcuna opportunità.

Attualmente ogni bambino dovrebbe essere avviato alla conoscenza dei computer con la maggiore naturalezza possibile. Se i genitori e gli insegnanti usano i computer quasi ogni bambino li userà naturalmente. Infatti, molti di noi che hanno una certa età ed hanno dei bambini, hanno i bambini che insegnano loro il computer e non viceversa. Dunque, i computer non sono un problema per i bambini.E' importante che il computer sia introdotto in modo naturale. Ciò che noi non vogliamo sono i computer che sostituiscono gli esseri umani. Quello che un computer dovrebbe fare è consentire agli esseri umani di fare il tipo di cose che un computer non può fare: un computer non può abbracciare, bisogna sempre essere in grado di abbracciare il proprio figlio. Questo è un ruolo molto importante per l'essere umano. Immaginiamo di avere un figlio che non sia interessato ai computer. Non mi preoccuperei della cosa, a meno che il bambino non sia interessato neanche ad altre cose. Se il bambino non dovesse trovare interesse in nessuna cosa, penserei all'esistenza di un problema. Ma se un bambino si interessa di qualche cosa, ai giorni nostri, prima o poi si interesserà ai computer, perché ogni cosa della nostra vita è contagiata dai computer. Se un bambino si interessa agli strumenti musicali e non ad un computer, un giorno vorrà comporre al computer o comporre musica elettronica o ascoltare la musica su un CD ROM; solo allora si interesserà alla tecnologia.



Roberto Maragliano
da La nuova didattica multimediale, “MediaMente. Biblioteca digitale” 29-02-1996
e da La multimedialità a scuola, “Mediamente. Biblioteca digitale” 07-03-1997

Per multimedialità si intendono diverse cose, e io credo che bisogna stare attenti a non operare una sorta di corto circuito tra multimedialità e computer, perché questo sarebbe molto penalizzante per quanto riguarda l'aspetto culturale. Esiste una multimedialità che deve essere assolutamente pensata, che deve essere valutata, che deve essere apprezzata, che ha a che fare con l'incrocio tra i diversi media che veicolano variamente dei messaggi. Se io penso all'edicola, vi trovo una gran quantità di prodotti "misti", dove il fascicolo si associa alla videocassetta, il giornale si associa all'audio cassetta o al "floppy disk": questa è una multimedialità di tipo fisico. E' importante pensare questa multimedialità perché bisogna rendersi conto che l'utente non ha dei percorsi d'uso definiti dei vari mezzi. Non avviene come dentro un ambiente monomediale, ad esempio il libro, dove già esiste un'indicazione di percorso, c'è una struttura di tipo lineare. Lì invece non c'è una struttura di tipo lineare. L'utente può iniziare da un mezzo, proseguire con un altro, incrociare elementi con elementi dell'altro. Praticamente l'utente sta al centro delle operazioni di uso, è il regista dell'uso. Solo se si parte da questa idea più ampia di multimedialità, entro la quale confluiscono gli incroci tra i diversi linguaggi, tra i diversi temi, tra i diversi media, allora si può capire cosa potrà essere e che cosa in parte è la multimedialità di tipo elettronico, quella veicolata dai computer, quella che troviamo nei CD ROM o, talvolta e con qualche difficoltà, in Internet. E' appunto un incrocio tra diversi linguaggi, tra diversi media in senso culturale. La natura di questo incrocio è ancora tutta da valutare, ancora tutta da pensare. Noi abbiamo una deformazione di tipo gutenbergiano, basata appunto sulla nostra formazione libresca, che ci porta a proiettare quel tipo di struttura e di conoscenza, nell'ambiente multimediale. Così facendo sbagliamo, perché l'ambiente multimediale va pensato con categorie diverse da quelle tradizionali. Uno dei rischi che si corre a questo proposito è quello di trasferire la logica del libro, la logica della conoscenza, basata sui meccanismi della lingua scritta, una logica di tipo analitico, di tipo sistematico, di tipo lineare, dentro il contesto multimediale. Allora faremmo veramente un grande pasticcio. Di fatto molti lo stanno facendo e sono gli stessi che si sforzano di non capire cosa sia la televisione. Io credo che sia molto importante arrivare alla multimedialità avendo comunque provvisoriamente risolto il problema di cosa sia la televisione. Disgraziatamente questo è un problema aperto proprio per il fatto che molti ci proiettano dentro l'impianto della propria cultura libresca. La televisione è qualche cosa di completamente diverso da un libro. Per essere apprezzata, per essere conosciuta, per essere usata, ha bisogno di categorie, di forme di partecipazione completamente diverse da quelle della comunicazione scritta. Solo se si riesce a superare questo scoglio, che è ancora enorme, io credo che si possa arrivare positivamente a valutare nelle sue immense potenzialità la multimedialità. In altri termini, credo che non si possa assolutamente passare dal libro alla multimedialità: in mezzo c'è l'audiovisivo, ossia una cultura la cui fattura, la cui articolazione, la cui forma è completamente diversa da quella esclusivamente visiva del libro.

Provocatoriamente posso affermare che [i supporti multimediali] offrono [all’insegnamento] l'occasione affinché la scuola possa ridefinire il suo impianto culturale, la sua forma di insegnamento, le sue modalità di interazione. La multimedialità non è semplicemente un nuovo supporto entro il quale far veicolare i vecchi contenuti di conoscenza. E' qualche cosa di più, è qualche cosa di radicalmente diverso: è la revisione di questi contenuti, la revisione di questi impiantiè la mobilitazione di energie e di creatività in direzioni assolutamente nuove per la scuola. Ne risulta allora l'esigenza, per una scuola che effettivamente voglia prendere sul serio la multimedialità, di ripensare la propria identità, ridefinendo i propri ambiti di sapere e il proprio rapporto con i giovani.

[L’apprendimento, con l’uso del PC,] cambia in direzioni che ancora non conosciamo, ma che sono comunque reali, che sono certamente molto importanti e che attendono ancora una adeguata valutazione. Cambia il rapporto diretto che si stabilisce con la fonte di conoscenza: c'è unincremento di fisiologia e di psicologia nell'apprendimento multimediale, cioè partecipa tutto il corpo. Il corpo stesso, e non solo l'intelligenza e la mente, diventa un soggetto di apprendimento. C'èun elemento manuale, caratteristico della interattività, che non va per nulla trascurato; c'è una dimensione di immersione, con tutto ciò che questo comporta al livello di proiezioni, processi di identificazione, che aprono all'universo e dell'affettività dell'apprendimento, secondo modalità decisamente nuove.

Bisogna considerare le macchine non come strumenti più o meno neutri finalizzati a trasmettere blocchi di conoscenze, ma come ambienti generali entro i quali organizzare le forme della conoscenza. Una scelta di questo tipo comporterebbe una trasformazione radicale dell'identità della scuola e quindi anche dell'identità dei saperi scolastici. Risulta infatti evidente che lavorare dentro il computer, giocare dentro il computer, significa cambiare la cifra dell'insegnamento e dell'apprendimento, vuol dire accettare che ci possa essere una modalità di piacere nell'apprendimento. Noi veniamo da una tradizione pedagogica che invece associa apprendimento a punizione, a pena, a disagio, a sforzo. Al contrario, tutto l'apprendimento che avviene entro la multimedialità, è un apprendimento che si avvantaggia della risorsa, della compartecipazione, del piacere, della piacevolezza. Già questo scompaginerebbe l'articolazione pedagogica, didattica della scuola. Ma poi ulteriori effetti si avrebbero nell'organizzazione delle conoscenze. Quando io opero dentro il computer, attraverso e incrocio tutte le forme di conoscenza. C'è un elemento tecnico che è comunque importante dominare; ma, nel momento stesso in cui tocco una tematica, mettiamo di tipo geografico, la tocco secondo dimensioni che mettono in gioco anche altri aspetti, caratteristiche che riguardano il sonoro, il visivo, le dimensioni musicali, le dimensioni della scrittura. Cioè in un CD ROM, anche se tematico, io trovo un incrocio di tutti questi aspetti. Allora questo vuol dire che se porto quel CD ROM dentro la scuola e lo utilizzo come ambiente per l'apprendimento, in quel momento non faccio più soltanto quella materia, ma metto in gioco tutte le forme di conoscenza.

La multimedialità, comunque, anche quando viene prodotta ai livelli minimi, mette la scuola in rete con il mondo, consente alla scuola di partecipare alla vita del mondo, consente alla scuola di uscire dalla sua chiusura. E questo è già un grandissimo risultato sia per la cultura dei docenti, sia per gli studenti.Si tratta di ribaltare completamente la modalità classica di insegnamento della scuola, partire da quello che i ragazzi sanno, da quello che vivono, da quello che i bambini sono, grazie anche alla multimedialità.

Il bambino, oggi in particolare, è un essere naturalmente multimediale, cioè che si serve di tutti gli elementi, di tutti gli strumenti, per entrare in rapporto con il mondo e con se stesso. Non è ancora un adulto, vincolato dal controllo tipico della comunicazione scritta. E' appunto un essere in formazione, che accoglie tutti gli elementi utili a lui per porsi in rapporto con il mondo. Ecco, questa ottica bambina, questo essere multimediali in modo naturale è una caratteristica che non bisogna assolutamente reprimere o trascurare; al contrario, è un qualcosa che va assolutamente coltivato e, a mio avviso, deve diventare anche una caratteristica del nuovo docente. Cioè il nuovo docente, per mantenere la sua identità di adulto che forma, deve comunque diventare bambino, cioè deve comunque trovare il modo di entrare in sintonia con questo essere multimediale, diventando anch'egli un essere multimediale. Solo facendosi bambino, e quindi entrando in comunicazione con quel bambino storico, può mantenere e sviluppare la sua identità di adulto che forma.

Io credo che lo si possa dire con una formula: gli insegnanti devono 'rimbambinirsi', devono farsi bambini, devono accettare dalla multimedialità l'incrocio e la pluralità dei linguaggi, devono imparare a stare in rapporto con le cose, con le conoscenze, con le esperienze. Devono imparare ad immergersi nella realtà. Penso, dunque, che il digitale dia un valore aggiunto agli oggetti della conoscenza, e permetta, tramite il virtuale, di dare più spessore, più contestualizzazione, più realtà al reale.



Gianni Vattimo
Non è poi così inverosimile, anche se niente affatto usuale, cercare proprio nei filosofi che più sono sembrati nemici della civiltà tecno-scientifica moderna, le ragioni teoriche per guardare con aspettative positive alla "rete", alle nuove possibilità che si aprono con la telematica. Gran parte degli atteggiamenti polemici dei filosofi novecenteschi nei confronti del mondo della razionalità tecnica sono stati dominati dall'immagine del motore, e cioè della tecnologia meccanica. Era questa immagine, soprattutto, che sembrava riassumere i pericoli incombenti sull'autenticamente umano, sulla libertà, a causa della razionalizzazione tecno-scientifica della società, e anzitutto del lavoro. Si trattava purtroppo di un sospetto fondato, come, su piani diversi ma con lo stesso risultato "alienante", mostrarono il taylorismo e la propaganda nazista. Quest'ultima, come ogni propaganda del resto, era modellata esattamente sull'idea di un centro che muove e di una immensa periferia che agisce in base agli impulsi di quel centro. Se si guarda al fondo dell'atteggiamento antimoderno e antitecnico di filosofi, peraltro così diversi fra loro, come Heidegger e Adorno, si trova ovunque questa paura: che le ragioni dell'esistenza, ossia il carattere imprevedibile, rischioso, ma soprattutto libero dell'esistere umano, siano dissolte dall'organizzazione razionale della società, la quale ha bisogno di prevedibilità, coordinazione, in un parola, del dominio incontrastato di un centro.
Se e quando all'immagine e al modello del motore si sostituisce quello della rete, è finalmente possibile che anche la filosofia cambi il suo atteggiamento verso la tecnologia e le sue applicazioni sociali ed esistenziali. E' in fondo questa la scommessa di quelle prospettive filosofiche che si sono chiamate post-moderne. Questo termine è adoperato qui nel suo senso più preciso e pregnante: per molte ragioni la modernità si può pensare davvero come l'epoca del motore: sia perchédeterminata nella sua essenza da quella prima forma di globalizzazione che sono stati i viaggi e da una economia fondata sull'industria meccanica; sia perché caratterizzata anche filosoficamente dall'idea di un movimento centrale che mobilita le periferie: il progresso dell'Occidente che trascina con sé le civiltà più primitive, la vera cultura umana (o la vera religione) che dal suo centro (l'Europa occidentale) si estende al resto del mondo unificandolo sotto il segno della vera umanità. Ebbene: seil termine post-moderno ha un senso (e, a mio parere, lo ha), esso si fonda nella dissoluzione del modello "centrale" del motore e sulla sua sostituzione, ancora semplicemente abbozzata e vaga,con la rete. Decisiva è, in quest'ultimo modello, la presenza di nodi e incroci che non richiedono un nodo ultimo; e la reciprocità della comunicazione, che esclude la stessa idea di una istanza suprema o, in termini filosofici, di un fondamento.
Tra i filosofi che sono apparsi, e sono stati effettivamente, nemici della modernizzazione, il solo che sembri intuire le possibilità positive della rete, o che almeno fornisca strumenti concettuali capaci di intendere queste possibilità, è Martin Heidegger. In un saggio del 1938, su "L'epoca delle immagini del mondo" (compreso in Sentieri interrotti, trad. it. di Pietro Chiodi, La Nuova Italia, Firenze, 1968), egli prefigura il significato "esplosivo" di una scienza-tecnica che, nel complicarsi e moltiplicarsi delle sue rappresentazioni specialistiche di diversi settori e piani del reale, rende progressivamente impossibile qualunque immagine "centrale" del mondo. Adorno, il grande critico della cultura di massa, per il quale la società della pubblicità e dei consumi eterodiretti non è, in definitiva, niente di diverso dalla società totalitaria nazista, non ha mai preso in considerazione questa potenzialità esplosiva della comunicazione, che si è sempre configurata per lui come un movimento in una sola direzione, dal centro alla periferia. A voler ampliare l'ambito del discorso, si può addirittura pensare che l'incapacità di Adorno di capire la rete è la stessa che, in termini effettivi e con ben più sanguinose conseguenze, si è manifestata di recente nel fallimento della rivoluzione comunista in Urss: lì sono cambiati bensì i soggetti che occupavano il centro, il potere, le leve dello Stato; ma non è cambiata affatto, con ogni evidenza, la struttura del potere stesso, la direzione del movimento è rimasta sempre solo quella del motore, dal centro alla periferia.
Se, come pare, uno dei problemi, o forse il problema determinante della filosofia del ventesimo secolo è stato il rapporto tra libertà e razionalizzazione tecno-scientifica del mondo (problema che si annuncia alla fine dell'Ottocento nella disputa sulla differenza tra "scienze della natura" e "scienze dello spirito", e che poi determina il sorgere dell'esistenzialismo e della fenomenologia, con tutte le loro conseguenze), si può a buon diritto pensare che il tema che si propone alla filosofia della fine di questo secolo e dei decenni che la seguiranno è quello di ripensare l'esistenza umana - ancora, la questione della libertà e della storia - in relazione al delinearsi della rete. Heidegger non fornisce solo, per questo, l'indicazione dell'esplodere delle visioni centrali del mondo e della dissoluzione del fondamento ultimo; un altro aspetto della sua filosofia da cui il nostro pensiero non potrà prescindere è la critica dell'umanismo, inteso nel suo aspetto di concezione della struttura "centrale" del soggetto umano, definito dalla autocoscienza e dalle sue evidenze. Nietzsche e Freud sono qui i precursori di Heidegger; e Nietzsche più ancora di Freud, giacché non si tratta tanto di considerare la coscienza come superficie (con il rischio permanente di tentare il risalimento a un ennesimo "fondo" ultimo), ma di guardare a essa come a una pluralità strutturata per l'appunto nella forma di un sistema di rimandi senza centro. Prima ancora che determinare, del resto con implicazioni importanti, nuove modalità del lavoro intellettuale, e dunque anche filosofico, l'instaurarsi della rete rivolge alla filosofia un appello molto più sostanziale, quello di ripensare l'esistenza e la stessa essenza del pensiero fuori dai modelli ereditati dalla modernità.

 


Lucio Russo
e da Contro una scuola del consumo, “MediaMente. Biblioteca digitale” 11-05-1998
I nuovi strumenti, ampliando enormemente sia la produzione sia l'accessibilità dell'informazione, la rendono ingestibile con i vecchi strumenti concettuali e organizzativi. Problemi analoghi si pongono per la didattica. La tendenziale sostituzione della "rete" ai libri e delle immagini alla scrittura rischia di porre gli studenti a contatto con una quantità enorme di dati scarsamente organizzati, senza fornire loro gli strumenti concettuali per dominarli. E' possibile reagire in due modi diversi a questi problemi. La prima possibilità consiste nell'accettazione della disintegrazione della cultura e dell'impossibilità del singolo di orientarsi razionalmente nella Babele di dati a disposizione dell'umanità. Alcuni pensano che l'unico "cervello" in grado di gestire il flusso di informazioni sia quello, tecnologico e impersonale, costituito dalla "rete" stessa, mentre i singoli uomini potrebbero avere al più il ruolo di neuroni. La rinuncia alla razionalità si accompagna alla diffusione di atteggiamenti religiosi, di carattere feticistico, verso la tecnologia e ai progetti di dequalificazione della scuola (che dovrebbe essere trasformata in un luogo di assuefazione all'uso passivo dei prodotti tecnologici che si useranno da adulti). La seconda possibilità consiste nello sviluppo di una cultura in grado di gestire la nuova realtà, lasciando alle macchine quelli che, grazie alle macchine stesse, sono divenuti "dettagli" inessenziali e costruendo nuove sintesi concettuali, che permettano di guidare consapevolmente lo sviluppo tecnologico e l'uso della tecnologia.
Se dovesse prevalere la prima linea la stessa tecnologia entrerebbe rapidamente in crisi, poiché il feticismo può costituire una sintesi culturale adeguata all'uso passivo di videogiochi, ma non fornisce una base sufficiente per progettare né hardware né software. A meno che, naturalmente, la cultura dell'irrazionalismo e del feticismo, destinata alle masse dei consumatori, non sia fatta coesistere con una cultura superiore destinata a un sottile strato di produttori. Non è forse un caso se mentre negli Stati Uniti cominciano a diffondersi anche posizioni critiche, in Italia, dove abbiamo rinunciato alle produzioni tecnologiche avanzate, la posizione "feticista" appare al momento dominante, in particolare nei media.
Il punto essenziale è, da una parte, usare le tecnologie in modo strumentale, per dei fini che siano esterni alle tecnologie stesse, quindi per l'apprendimento della matematica, della fisica, della storia, di tutti i contenuti che si ritiene essenziale trasmettere e, dall'altra, fornire delle conoscenze sulle tecnologie stesse. L'importante è che queste conoscenze non possono essere, almeno nella scuola secondaria, così dettagliate da contenere una descrizione del reale funzionamento degli apparecchi che i ragazzi stessi possono usare, ma questo non implica che non bisogna dare alcuna conoscenza, perché in questo modo si diffonde un atteggiamento magico verso la tecnologia. Se io prendo l'aereo posso ignorare le conoscenze di ingegneria aeronautica necessarie per progettare un aereo ma, possibilmente, non devo pensare di entrare nella pancia di un grande uccello d'acciaio.Bisogna cioè conoscere gli elementi essenziali di razionalità scientifica, di razionalità tecnologica, che fanno capire come l'aereo sia un prodotto possibile dell'attività razionale umana. Quello che è importante non è inseguire l'ultima moda tecnologica ma insegnare dei principi di base; ad esempio, far capire come sia possibile lo sviluppo dei laboratori automatici, anche se poi non si spiega come è fatto l'ultimo modello di computer; insegnare dei linguaggi di programmazione semplici perché fa capire, in linea di principio, come sia possibile lo studio dei programmi, anche per chi poi non farà professionalmente il programmatore e non è in grado di controllare la grafica come può fare un professionista. Non inseguire quindi l'ultima moda della tecnologia ma insegnare i principi di base. Per esempio, negli esperimenti di fisica io credo che sia essenziale non usare sempre e solo strumenti basati su una tecnologia estremamente raffinata perché impediscono poi al ragazzo di capire effettivamente cosa accade e gli sottraggono anche la possibilità di fare veramente delle misure. Mio figlio studia fisica all'Università La Sapienza di Roma ed alcune delle esperienze di laboratorio che fa consistono nel misurare, ad esempio, l'accelerazione di caduta di un grave; l'accelerazione di caduta viene misurata automaticamente con dei sottodìadi che scattano automaticamente via via che il grave scende a certi livelli e i dati vengono inviati direttamente ad un computer collegato ad un cronometro che ne calcola il tempo. Mentre il computer riceve i dati e li elabora quello che deve fare lo sperimentatore, cioè lo studente del corso di laboratorio, è semplicemente premere un bottone e ricevere un tabulato in cui i dati sono stati già ridotti ad un grafico e sono stati anche elaborati statisticamente. Io credo che da un esperimento del genere s'impari veramente molto poco. Per imparare di più bisogna usare una tecnologia superata. Secondo me, una possibile soluzione è quella di non usare semplicemente la tecnologia di cinquant'anni fa ma elaborare, a scopi didattici, una tecnologia i cui principi di funzionamento siano più trasparenti, eventualmente usando anche, ovviamente, i metodi raffinati della tecnologia attuale. Finalizzandoli però a fini didattici, se questo è il fine che si vuole realizzare. Non usare semplicemente l'ultimo apparecchio più efficiente anche nella scuola come nell'università, per promuovere un uso critico e possibilmente razionale della tecnologia.



Edward S. Herman

Affermare che solo in Internet ci si può esprimere in piena libertà è una sciocchezza. Se si tratta di questo, oggi tutti possono comunicare per telefono e parlare liberamente all'angolo delle strade, salvo eccezioni. La vera questione, la vera libertà, sta nel numero di persone che nei fatti si raggiunge, soprattutto tra i normali cittadini, fra la gente comune. In questo senso Internet, contrariamente a quanto si dice, è un fallimento, perché è aperta solo a una minoranza in grado di acquistare un computer e capace di usarlo. Inoltre, essere in rete non significa ancora automaticamente farsi ascoltare. Il fatto è che in qualche modo devo avvertire gli altri della mia presenza. Se io metto un messaggio su Internet, come faccio a dire agli altri che devono sintonizzarsi sulla mia emissione? I siti sono costruiti e frequentati normalmente da gruppi e individui dello stesso ramo, che già si conoscono e comunicano tra loro. La massa non saprà mai della loro esistenza, mentre sarà attratta dai siti di coloro che possono divulgare la loro presenza in rete, per esempio tramite la pubblicità sul "Wall Street Journal" o sul "Time Magazine". In pratica solo le grandi corporazioni del capitale, per esempio la Procter and Gamble, possono pubblicizzare il proprio sito. Io certamente non sono in grado di farlo.

L'egemonia del capitalismo attraverso il dominio dei mezzi di comunicazione è già una realtà. La cattura di Internet in questo meccanismo permetterà semplicemente di assicurarsi che questo nuovo veicolo di comunicazione non arrechi disturbo a tale egemonia. Il controllo economico della rete, di conseguenza, aumenterà il potere delle grandi aziende soltanto nel senso che permetterà loro di occupare più spazio di comunicazione e precluderà anche questo mezzo a chi agisce e pensa secondo principi non dominati dalla logica di mercato.

Penso che sia auspicabile contenere il dominio commerciale dovunque. E questo lo si fa proteggendo la sfera pubblica e di conseguenza la democrazia. E' difficile immaginare un mezzo per tenere il business fuori da Internet, data l'attuale struttura del potere e della politica, ma sarebbe una grande idea! Ciò che possiamo sperare, al fine di preservare almeno in parte la rete dal dominio economico di pochi, è che alcune parti di essa rimangano prive di pubblicità, e che ci sia la possibilità d'accesso al mezzo a costo zero o con tariffe molto basse. Ciò permetterebbe almeno di continuare a usare Internet con un certo grado di comunicazione democratica, anche se resterà sempre, ne sono convinto, un mezzo di scarso peso presso le masse, per il suo carattere intrinsecamente elitario.




Gli autori


Derrick de Kerckhove

Discepolo ed erede intellettuale di Marshall McLuhan, insegna all'Università di Toronto ed è direttore dell'Istituto McLuhan. Studia lo stretto rapporto tra le tecnologie della comunicazione e l'attività psicologica, cognitiva ed espressiva dell'uomo. Ha tenuto in tutto il mondo numerosi workshop sull'intelligenza connettiva, approccio che ha ora esteso all'ambito aziendale, governativo e accademico. Ha scritto tra l'altro The alphabet and brain (1988), La pelle della cultura (1995),L'intelligenza connettiva (1999) e Principles of cyber architecture, di imminente pubblicazione in Italia.

 

Howard Gardner


Insegna Scienza dell’educazione all’Università di Harvard ed è condirettore del Progetto Zero, un progetto pilota in campo educativo. Tra i suoi libri tradotti in italiano ricordiamo Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza (1987), La nuova scienza della mente (1988), Educare al comprendere (1994), Sapere per comprendere. Discipline di studio e disciplina della mente (1999).


Roberto Maragliano

Professore di Tecnologie dell'istruzione all'Università Roma Tre, è responsabile del Laboratorio di tecnologie audiovisive e direttore del corso di perfezionamento a distanza in Tecnologie per l'insegnamento. Ha realizzato vari software educativi e ha pubblicato, tra l'altro, Esseri multimediali(1996), Nuovo manuale di didattica multimediale, con cd-rom (1998), Tre ipertesti su multimedialità e formazione (1998).


Gianni Vattimo

Ordinario di Filosofia teoretica all'Università di Torino, è uno dei massimi studiosi del pensiero di Heidegger e Nietzsche. Ha scritto tra l'altro: Poesia e ontologia (1968), Il soggetto e la maschera(1974), Le avventure della differenza (1980), La fine della modernità (1985), Il pensiero debole (in coll. con P. A. Rovatti, 1983), La società trasparente (1989), Oltre l'interpretazione (1994), Credere di credere (1996), Vocazioni e responsabilità del filosofo (2000), Dialogo con Nietzsche (2000). Nel 1999 è stato eletto al Parlamento europeo.


Lucio Russo

E' professore di Calcolo delle probabilità all'Università di Roma "Tor Vergata". Si è occupato di teoria dei codici, di percolazione, di meccanica statistica rigorosa e di riconoscimento automatico di forme. Si interessa anche di storia della scienza. Ha pubblicato tra l'altro La rivoluzione dimenticata (1996) eSegmenti e bastoncini (1998).


Edward S. Herman

E' professore emerito di finanza presso la Wharton school, dipartimento di Economia dell'università della Pennsylvania. E' autore di numerosi testi di politica ed economia. Ha pubblicato con Noam Chomsky Political economy of human rights (1979) e Manufactoring Consent (1988); in collaborazione con Frank Brodhead Demonstraction election (1984). Insieme con l'economista Robert McChesney, ha scritto The global media: the new missionaries of corporate capitalism, di prossima pubblicazione.

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